Giusi Nicolini | Mayor of Lampedusa

L’esperienza delle migrazioni

Grazie, prima di tutto, per avermi dato questa possibilità bellissima di incontro, di ascolto, di scambio, all’autorità scientifica del Vaticano, al Papa, e al mio Cardinale Montenegro, che è molto più Cardinale di Lampedusa che di Agrigento, e chiaramente a Ignazio Marino che ci sta ospitando.

Voglio iniziare questa mia testimonianza ricordando che due mesi fa è stata depositata la sentenza della Corte di Assise di Agrigento, che condanna a 30 anni di carcere Muhidin Elmi Mouhamud, somalo, uno degli organizzatori della tratta di persone che si concluse con il naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa. Quest’uomo, insieme ad altri armati di mitra, prelevandoli nel deserto sequestrò alcuni di quei disgraziati viaggiatori, 130 eritrei e li tenne rinchiusi fino a quando i loro parenti non versarono la somma di 3.000 dollari a testa quale prezzo della liberazione. Durante il periodo del sequestro, gli ostaggi furono picchiati e torturati, con torture anche abbastanza bizzarre – versavano l’acqua e poi rilasciavano dei fili con la corrente elettrica – e le donne furono tutte sottoposte a violenza sessuale, ripetutamente, venivano pure offerte in dono ad altri soggetti che la notte si recavano alla prigione a prelevarle. Tutto questo è negli atti di questo processo. Per salire sul barcone della morte, gli eritrei, dopo aver ottenuto a così caro prezzo la “liberazione” (chiamiamola così), pagarono altri 1.800 dollari. In quel naufragio, come ricorderete, persero la vita 366 persone, forse 367, perché il feto che fu espulso dalle sofferenze della morte per annegamento di una donna era ancora attaccato con il cordone ombelicale, e dopo qualche minuto di diatriba decisero che non contava.

La sentenza definisce quel processo uno dei più gravi disastri navali della storia recente del Mediterraneo. Ma la più grande tragedia del Mediterraneo dall’inizio del XXI secolo in realtà doveva ancora avvenire. È avvenuta il 18 aprile scorso, questa volta al largo delle coste libiche, con 900 presunti dispersi. In mezzo a questi due terribili naufragi ce ne sono altri e tanti altri morti per le cause più svariate: 29 morti di freddo sulla motovedetta che, dopo averli soccorsi, li stava portando a Lampedusa; gli ustionati costretti a salire sui barconi dopo l’esplosione di una bombola del gas nella prigione in cui erano trattenuti che li ridusse quasi in fin di vita; di pochissimi giorni fa è la notizia della bambina siriana morta di diabete perché lo scafista le aveva buttato in mare lo zainetto con l’insulina.

Queste cifre e questi fatti sono la tratta di esseri umani, una cosa che a Lampedusa conosciamo molto bene. E sono solo un piccolo frammento del prezzo incommensurabile che l’umanità intera ha pagato da 20 anni e paga ogni giorno alla tratta di esseri umani nel Mediterraneo, e alle politiche di chiusura delle frontiere e alle logiche di respingimento che la nostra Europa continua a professare.

Bisogna fare presto quindi, perché tutte queste cose di cui ho parlato sono successive alla visita di Bergoglio a Lampedusa. E Bergoglio scelse quella visita come inizio del suo viaggio pastorale nel mondo, per affermare che quello era l’olocausto del nostro tempo. Bisogna fare presto, anche perché fra coloro che riescono ad arrivare vivi ci sono i profughi ambientali che non godono ancora di nessuna protezione umanitaria e sono destinati alla clandestinità o ai rimpatri forzati.

L’8 luglio il Papa iniziò il suo viaggio da lì per denunciare l’indifferenza dell’Europa e del mondo intero e per rompere il silenzio. “Sappiamo che le cose possono cambiare” scrive oggi. Se dovessi scegliere la frase più bella di Laudato Si’ sarebbe questa, la frase che indica che quella è la via, non è solo l’analisi di come siamo ridotti. Non è un’enciclica catastrofica; è una via di speranza, quella che ci dà Bergoglio. “Sappiamo che le cose possono cambiare”, ed è quello che io, tutti, abbiamo pensato quando abbiamo visto scendere Francesco dall’aereo dopo essere atterrato a Lampedusa. Ed effettivamente le cose sono cambiate da allora. L’Europa ha dovuto aprire gli occhi, ha dovuto mettere nella sua agenda questa grande emergenza del Mediterraneo. Ma solo questo è cambiato.

Nel 2014, con l’operazione Mare Nostrum si è riconosciuto che nel Mediterraneo c’era una grande emergenza umanitaria e che Lampedusa non poteva essere lasciata più sola. Dopo appena un anno è stato cancellato Mare Nostrum con la cinica motivazione che i suoi effetti erano non quello di ridurre i naufragi e ridurre i morti, ma aumentare i vivi, aumentare gli arrivi. Proprio perché tutto sembra cambiato ora che se ne parla, ora che si è rotto il silenzio, appare ancora più incoerente, a volte ridicola la risposta europea per la prevenzione e il contrasto della tratta e per il piano di accoglienza europeo; cosa sta succedendo infatti? La tratta di esseri umani si vuole combattere con le dichiarazioni di voler bombardare i barconi? Non si dice niente della gravissima emergenza dei profughi siriani? Non si rende conto l’Europa che sono 68.400, nel 2014, le richieste di asilo di profughi siriani, e sono il doppio rispetto al 2013, e quattro volte le richieste dei siriani del 2012. Non si rendono conto che sono 4 milioni i siriani nei campi profughi? Davvero risibile è l’obiettivo del resettlement, che invece dovrebbe essere il modo legale, sicuro per far arrivare in Europa vivi quelli che hanno sicuramente diritto d’asilo. L’accordo sulla redistribuzione dei ricollocamenti si è fermato a 32.000, non ha raggiunto neppure il risibile obiettivo dei 40.000 che la Commissione Europea si era posta. E queste cose stanno avvenendo mentre ancora stiamo parlando di 170.000 persone arrivate nel 2014 provenienti soprattutto dal Corno d’Africa, dal Sub-Sahara, e dalla Siria e di appena 80.000 persone sbarcate già nel 2015. Gli scenari migratori che invece abbiamo di fronte, conseguenti ai progressivi effetti dei cambiamenti climatici della depredazione di risorse operata nel tempo dai paesi ricchi sono invece apocalittici, se è vero che si stimano in 200-250 milioni i profughi ambientali entro il 2050, e che solo nel 2010 sono state 42 milioni le persone che sono fuggite per disastri naturali.

Tutto questo dimostra che il potere politico in Europa concentrato a elaborare strategie di chiusura e respingimento, a costruire muri, a schierare navi da guerra, a bombardare barconi è ancora tragicamente lontano dalla consapevolezza che bisogna non solo riconvertire drasticamente e urgentemente le politiche economiche, energetiche e ambientali, ma che è anche necessario riconoscere prima di tutto che la politica da sola non basta. Non ce la fa, prigioniera di un girone dantesco, dove i poteri economici forti si saldano con le paure, generando mostri: il razzismo, la xenofobia. Perché è necessario avere coraggio per combattere il razzismo e la xenofobia? Perché lo chiamiamo coraggio? È un dovere! È normale combattere il razzismo e la xenofobia. Per questa ragione c’era bisogno di Laudato Si’, perché un’ecologia globale necessaria alla salvezza e alla sopravvivenza del pianeta e dell’umanità ha bisogno dell’etica, della bellezza, del respiro, dell’anima.

Mi chiedo come i piccoli comuni, i piccoli territori, le piccole isole, anche per dare senso alla mia presenza qui, come possono resistere alle crisi della modernità e soprattutto come possono contribuire all’ecologia globale? Siamo così piccoli. Me lo chiedo soprattutto oggi perché Bergoglio parla a ogni abitante della terra, perché il richiamo alla responsabilità individuale è forte. Lampedusa quest’esempio lo dà, perché dal 1992 a oggi sono più di 300.000 le vite che ha contribuito a salvare dalla morte in mare. E se la fatica di vivere in un’isola così lontana non ha impedito di dire no alla vita, io mi chiedo perché, oggi, in alcune nostre città, si possano verificare scontri armati per accogliere 19 persone. Diciannove. Proprio per questo io credo che nelle emergenze climatiche e nella lotta alla schiavitù il nostro ruolo è importante, importantissimo! Perché non è con il coraggio che noi combatteremo il razzismo e la schiavitù, ma combattendo il degrado, migliorando l’accoglienza, migliorandola, perché è sul degrado che viene alimentata l’intolleranza delle persone, combattendo il caporalato – le cose che diceva il sindaco di Bologna – il caporalato prima di tutto è mafia. C’è una proposta di legge per estendere al reato, per equipararlo ai reati di mafia. Oltre a reificare la persona, a violarla in uno dei suoi diritti più grandi e inviolabili, è un fattore inquinante del mercato, dell’economia. Provoca degrado: andate a vedere come vivono quelli che raccolgono i pomodori. Ecco perché poi la gente ha paura. È così che noi possiamo cambiare le cose, senza aspettare il Protocollo di Parigi.

L’ultima cosa voglio dire. Se noi ragioniamo di ulteriori obiettivi da darci per Parigi, e poi non siamo in grado di difendere, per esempio, il Mediterraneo dopo che abbiamo visto che i profughi e i morti nel Mediterraneo sono anche figli dello sfruttamento petrolifero di quei paesi, perché oggi non siamo in grado, il Governo non è in grado oggi di bloccare le licenze per le trivelle a poche miglia da Lampedusa, dalle coste siciliane, dalle aree naturali protette, perché altrimenti non ha senso la lotta che noi facciamo per difendere la biodiversità nella Spiaggia dei Conigli dove depone la tartaruga.

Ecco, sono esempi concreti e cogenti con cui possiamo contribuire alla riduzione del combustibile fossile, alla difesa del Mediterraneo come riserva della biodiversità, di come possiamo lottare contro la schiavitù, quella più odiosa, della tratta di esseri umani.

Grazie.