Fiorenzo Facchini

Resoconto

“Via humanitatis” ovvero “Sul cammino verso l’umanità” è il tema del Workshop internazionale, organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze attraverso un Comitato formato dal Cardinale Roger Etchegaray, da Henry de Lumley (presidente dell’Institut de Paléontologie humaine di Parigi) e da Mons. Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze.

L’incontro, che ha visto riuniti nei giorni scorsi specialisti dei vari settori della Paleoantropologia e della Preistoria, ha affrontato il tema dell’emergenza dell’uomo, dei vari stadi evolutivi morfologici e dello sviluppo della cultura. Conoscere quando l’uomo è comparso sulla terra non è solo una curiosità. Esso fa riflettere sull’identità dell’uomo che non può ricercarsi solo sul piano morfologico, ma va vista nel suo comportamento rivelatore di uno psichismo diverso da quello dell’animale.

Le radici biologiche dell’uomo sono nel mondo animale; la parentela con forme preumane, diverse dalle scimmie che conosciamo, e oggi non più viventi, è fuori discussione. La comparsa dell’uomo è stata preceduta e preparata dalla separazione di una linea da quella delle Antropomorfe, avvenuta intorno a 7 milioni di anni fa. In questa linea troviamo le forme australopitecine che praticavano il bipedismo e anche l’arrampicamento e la sospensione agli alberi. Esso ha determinato un cambiamento sostanziale nel rapporto con l’ambiente (Tattersall) ed è stato favorito da un ambiente aperto, creatosi per nuove condizioni climatiche nelle regioni orientali dell’Africa (Coppens). Passeranno ancora oltre quattro milioni di anni, che hanno visto nelle regioni dell’Africa numerosi rappresentanti di Ominidi, tra cui l’Ardipiteco, l’Australopteco afarense (Lucy) e l’Australopiteco anamense, per trovare le più antiche testimonianze del genere Homo (H. habilis), documentato da resti scheletrici e dalla cultura litica del ciottolo risalenti a 2-2,5 milioni di anni fa a Kada Gona e Fejei, in Etiopia, e Lokalalei (Kenya)

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“Via humanitatis” ovvero “Sul cammino verso l’umanità” è il tema del Workshop internazionale, organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze attraverso un Comitato formato dal Cardinale Roger Etchegaray, da Henry de Lumley (presidente dell’Institut de Paléontologie humaine di Parigi) e da Mons. Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze.

L’incontro, che ha visto riuniti nei giorni scorsi specialisti dei vari settori della Paleoantropologia e della Preistoria, ha affrontato il tema dell’emergenza dell’uomo, dei vari stadi evolutivi morfologici e dello sviluppo della cultura. Conoscere quando l’uomo è comparso sulla terra non è solo una curiosità. Esso fa riflettere sull’identità dell’uomo che non può ricercarsi solo sul piano morfologico, ma va vista nel suo comportamento rivelatore di uno psichismo diverso da quello dell’animale.

Le radici biologiche dell’uomo sono nel mondo animale; la parentela con forme preumane, diverse dalle scimmie che conosciamo, e oggi non più viventi, è fuori discussione. La comparsa dell’uomo è stata preceduta e preparata dalla separazione di una linea da quella delle Antropomorfe, avvenuta intorno a 7 milioni di anni fa. In questa linea troviamo le forme australopitecine che praticavano il bipedismo e anche l’arrampicamento e la sospensione agli alberi. Esso ha determinato un cambiamento sostanziale nel rapporto con l’ambiente (Tattersall) ed è stato favorito da un ambiente aperto, creatosi per nuove condizioni climatiche nelle regioni orientali dell’Africa (Coppens). Passeranno ancora oltre quattro milioni di anni, che hanno visto nelle regioni dell’Africa numerosi rappresentanti di Ominidi, tra cui l’Ardipiteco, l’Australopteco afarense (Lucy) e l’Australopiteco anamense, per trovare le più antiche testimonianze del genere Homo (H. habilis), documentato da resti scheletrici e dalla cultura litica del ciottolo risalenti a 2-2,5 milioni di anni fa a Kada Gona e Fejei, in Etiopia, e Lokalalei (Kenya) (Henry e Antoinette de Lumley). Ciò mentre ancora sopravvivevano in alcune regioni ominidi non umani, come l’Australopiteco Sediba nel Sud Africa.

La prima uscita dall’Africa viene fatta risalire a Homo habilis, come attestano i reperti di Dmanissi in Georgia di 1,8 milioni di anni (Lordkipanidze). Essi destano stupore per le piccole dimensioni. Questa località può essere vista come un crocevia per la diffusione dell’uomo in Europa e in Asia. A questa prima uscita ne seguirono altre in epoche diverse (Homo ergaster, erectus, antecessor). Ad esse vengono collegati i fossili umani di oltre un milione di anni ritrovati in varie località dell’Europa (Atapuerca) e dell’Asia (Israele, Siria, Cina). Per l’Europa i giacimenti di Atapuerca (Spagna) e Tautavel (Francia) documentano la presenza dell’uomo nell’arco di centinaia di migliaia di anni.

Nel colloquio ha avuto una particolare attenzione la tecnologia impiegata dall’uomo, a partire dalle sue espressioni più antiche, quelle dell’industria preolduvana e olduvana evolutesi nel bifacciale. Nei loro artefici va riconosciuta la capacità di progetto e di simbolizzazione, la quale non deve essere vista solo nel linguaggio, nell’arte e nella religiosità, ma anche nei prodotti della tecnologia (simbolismo funzionale) (Facchini, Le Tensorer). In particolare il bifacciale (la nota scheggia a forma di mandorla, lavorata su entrambe le facce e sui margini), identificato nelle sue più antiche espressioni, in depositi di 1,6-1,7 milioni di anni fa con Homo ergaster, è stato segnalato recentemente in Etiopia in un deposito di 1,8 milioni (Beyene). Nel bifacciale, al di là della funzione, viene riconosciuta una grande forza evocativa per l’armonia espressa nella simmetria della lavorazione (Le Tensorer) che gli conferisce un valore estetico. È un’armonia che l’uomo coglie in tanti aspetti della natura ed esprime il gusto del bello (Colin Renfrew).

Nella tecnologia strumentale rientra la domesticazione del fuoco, forse a partire già da oltre un milione di anni, certamente da oltre 400.000 anni. Essa ha avuto grande importanza per la protezione, la dieta e la vita sociale. (Gowlett).

Negli studi della preistoria le manifestazioni di ordine spirituale (arte, sepolture) hanno sempre ricevuto avuto una particolare attenzione. Le scoperte recenti hanno arricchito il quadro delle conoscenze portando le prime manifestazioni dell’arte mobiliare indietro nel tempo rispetto anche soltanto a poche decine di anni fa. Pratiche funerarie vengono segnalate nei resti di Atapuerca (Spagna) di 350.000 anni fa e nei Neandertaliani. Sepolture con corredo ritrovate con Neandertaliani e forme moderne nel Paleolitico superiore (Vialet, Giacobini) sono interpretabili in una società che dava spazio al trascendente. L’arte mobiliare ha radici molto antiche (incisioni su ossa di animali di 400.000 anni fa, decorazioni e collane di conchiglie 130.000 anni fa), ma è negli ultimi 30.000 anni che l’arte presenta quasi un’esplosione del simbolismo spirituale, nelle raffigurazioni delle grotte (Bahn, Lorblanchet).

Le conseguenze del sedentarizzazione tra 10.000 e 5.000 anni fa in Europa (Colin Renfrew) e il fenomeno del megalitismo (Mohen) possono essere viste nel quadro di una crescente socializzazione caratteristica del Neolitico.

Nel colloquio dell’Accademia non poteva mancare la domanda sulla trascendenza dell’essere umano. L’emergere dell’autocoscienza va vista in una prospettiva di coevoluzione tra genoma e cultura. Si apre il vasto campo delle interazioni tra attività cognitive e reti neuronali (Singer). Con la comparsa dell’uomo c’è un trascendimento dell’evoluzione biologica, senza che siano messe da parte le leggi dell’evoluzione (Auletta). In ogni caso quando si parla di origini dell’uomo deve essere tenuta presente la distinzione tra il principio fondativo dell’uomo, che è di ordine ontologico e lo fa immagine di Dio e “capax Dei”, e l’origine filogenetica che vede l’uomo in una certa continuità con gli altri viventi. Questi approcci si incontrano nel mondo simbolico e spirituale, ma si sviluppano su piani diversi, in un concorso speciale del Creatore agli inizi dell’umanità come per ogni essere umano (Sánchez Sorondo).

La prospettiva del futuro dell’umanità e delle responsabilità dell’uomo per l’ambiente e nella mondializzazione è emersa negli interventi finali (Arber, Sabourin), mentre non è mancato un richiamo alla questione del transumanesimo, una minaccia alla dignità dell’uomo (Capelle-Dumont).

Nell’intervento conclusivo del Cardinale Etchegaray è riecheggiato ottimisticamente il richiamo alla grande figura di Pierre Teilhard de Chardin, che prospetta una visione incentrata sull’uomo, nella sua capacità di dare significato a tutta la creazione e di costruire il futuro.

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